Ricordo il gusto dolcissimo della camomilla di mia nonna Maria, che mi faceva prima di andare a letto. Ricordo quando mi nascondevo dietro al divano per guardare sghignazzando mio nonno Pasquale parlare con la televisione. Ricordo il sapore delle liquirizie di nonno Danilo e il profumo delle lenzuola di nonna Irma. Ricordo qualche storia che mi hanno raccontato, ma poche. Troppo poche.
I nonni sono importanti. Sono la prova della continuità della vita, sono l’esperienza di come le cose si facevano prima, tempi e modi diversi, quando internet ma chi se lo poteva immaginare e i telefoni avevano un cavo che li attaccava al muro per non farli volare via.
Sono il racconto. La parola tramandata. Sapori, odori, voci.
È triste quando i nonni sono lontani.
Ma è ancora più prezioso ritrovarli, quando ci si ritrova.
Io non ho imparato da mia madre a fare le olive all’ascolana, né l’uncinetto, né gli gnocchi o i supplì. Non ho imparato da mio suocero a fare il sapone, gli esperimenti con le calamite, le olive schiacciate. Né da mia suocera a fare le trecce di peperoni, i carciofi in padella con l’ingrediente segreto, la licurd’.
Spero che mio figlio avrà voglia di farlo, per insegnarlo a me, in un andirivieni di esperienze tramandate che ci danno il senso di quello che siamo nel mondo.
Spero che mio figlio li accoglierà sempre con quello stesso sorriso infinito che regala loro adesso, piccolo com’è, come se cogliesse da subito la bellezza e la ricchezza di quei momenti ritagliati e appiccicati tra una distanza geografica e l’altra.
(Contributo fotografico in evidenza di Laura Pardu).
I miei nonni non li ho visti perché erano già morti, solo una nonna ho potuto vedere ma 7 volte in tutta la vita. Sono contenta che i miei figli possono vivere di più i nonni perché arricchiscono.
Roby
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